La Basilicata si aggiudica l’ultimo posto nella classifica delle regioni più “mother friendly”, preceduta da Campania e Sicilia. In cima alla classifica, invece, c’è ancora una volta la Provincia autonoma di Bolzano, seguita dall’Emilia Romagna. La Toscana conquista il terzo posto.
E’ quanto emerge dalla IX edizione del rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024” di Save The Children che ha elaborato la classifica con l’Istat.
Il documento precisa che in Italia una lavoratrice su cinque esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre; il 72,8% delle “convalide” delle dimissioni dei neogenitori riguarda le donne; continua a calare il numero medio di figli per donna (1,20); c’è la più alta età media delle donne al parto tra i Paesi Europei (32,5 anni).
Una spia delle difficoltà che le madri affrontano nel conciliare impegni familiari e lavorativi è rappresentata dalnumero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%).
Al contrario, per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione totale è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Dati allarmanti se pensiamo che il tasso di natalità è ai minimi storici e l’Italia è il Paese europeo con l’età media più alta per il primo figlio.
Nel 2023, infatti, l’Italia ha toccato un nuovo minimo storico con meno di 400mila nascite, un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Il numero medio di figli per donna è di 1,20, lontano dal 1,44 del 2010.
Il Bel Paese ha l’età media più alta in Europa per la nascita del primo figlio (31,6 anni) con una percentuale significativa di primi nati da madri over 40. A questo dobbiamo sommare il tasso di occupazione femminile (52,5%) che è nettamente inferiore a quello maschile e alla media europea.
Una donna su cinque abbandona il lavoro dopo la maternità, e il 72,8% delle convalide delle dimissioni dei neogenitori riguarda le donne. La principale motivazione è la difficoltà di conciliare lavoro e cura dei figli, spesso dovuta alla mancanza di servizi di assistenza adeguati.
Emerge sempre più il divario territoriale: l’Indice delle Madri elaborato dall’ISTAT evidenzia forti disparità tra le regioni, con la Provincia Autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Toscana in testa alla classifica e la Basilicata, la Campania e la Sicilia in fondo.
E’ evidente che serva un netto cambio di paradigma, azioni mirate a contrastare la discriminazione legata alla maternità, sanzionando ogni forma di discriminazione, rendendo obbligatorio il ‘family audit’ e promuovendo la parità di retribuzione. Aumentare l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia e alle cure pediatriche. Promuovere politiche stabili e strutturali: adottare misure di sostegno alla famiglia stabili e a lungo termine, prendendo esempio dalle migliori pratiche europee.
Senza questi provvedimenti reali e concreti non ha alcun senso continuare a fare demagogia, cavalcando l’onda della propaganda, esclusivamente lusingatrice, di vacue aspirazioni economiche e sociali delle masse, in un Paese come l’Italia, dove le frequenti riforme si sono dimostrate finora imprevedibili e confuse, con conseguenze, evidentemente, potenzialmente negative per le famiglie e le donne.