Il “1° maggio” è nato nel 1886 a Chicago, dove i sindacati organizzarono uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore. Le condizioni di lavoro in città erano miserabili, con molti operai impegnati nelle loro mansioni dalle dieci alle dodici ore giornaliere, sei giorni alla settimana e a volte in condizioni pericolose.
Oggi, a distanza di due secoli, questo giorno è ancora un’opportunità per tutti i lavoratori di partecipare alle lotte internazionali senza barriere nazionali o sociali per rivendicare i propri diritti, raggiungere i propri obiettivi e migliorare le proprie condizioni.
Le politiche per l’occupazione attuate dalle istituzioni pubbliche a tutti i livelli dovrebbero tenere conto del fatto che “non esiste povertà peggiore della perdita del lavoro” come scrive Papa Francesco nell’ Enciclica “Fratelli tutti” sulla fraternità e l’amicizia sociale.
Essere aperti a politiche sociali che non siano pensate a beneficio dei poveri, ma progettate insieme ai “pensatori” affinché lo sviluppo della democrazia non si fermi, ma sia veramente inclusivo per tutti. Per fare ciò è necessario investire nella pianificazione, nella formazione e nell’innovazione, nell’apertura alle tecnologie nate dalla transizione ecologica, significa creare una cultura che garantisca la giustizia sociale.
Le Istituzioni devono garantire condizioni di lavoro giuste per tutti, per ritrovare il diritto di ogni persona, affinché le famiglie possano costruire e vivere in pace, creando condizioni che permettano a tutto il territorio un accesso paritario allo sviluppo, soprattutto nelle aree ad alta denatalità, disoccupazione e migrazione.
Sono tante le sfide che ci aspettano nei prossimi mesi: Impegnarsi in termini di sicurezza, prevenendo le situazioni pericolose che necessitano di attenzione immediata, poiché il numero degli incidenti, purtroppo, non accenna a diminuire; mobilitare le risorse per evitare l’esclusione sociale di chi perde il lavoro, soprattutto delle famiglie più vulnerabili, in modo che non dipendano unicamente dai sussidi del governo; il lavoro dignitoso deve essere retribuito equamente e il sistema di sicurezza sociale è un indicatore visibile di giustizia che ha ricadute importanti in tutto il sistema socioeconomico; colmare il divario economico tra età e genere, ancora profondamente marcate e tracciate dal solco dell’ignoranza e della prevaricazione, senza trascurare questioni urgenti come il lavoro precario e lo sfruttamento dei lavoratori migranti.
Non si può parlare di piena democrazia nel nostro Paese finché non saranno riconosciuti i diritti di tutti i lavoratori.
Anche ai datori di lavoro è richiesto l’ennesimo sforzo di adempiere a questo dovere di giustizia, con la chiara responsabilità di creare posti di lavoro e garantire contratti equi e condizioni di lavoro sicure e dignitose.
I lavoratori sono consapevoli delle proprie responsabilità e pensano insieme al bene del lavoro produttivo e allo sviluppo del Paese, partecipando all’utilizzo di tutti i metodi democratici per rendere la vita migliore non solo per sé stessi, ma per le loro comunità e le generazioni future.
Ed è in quest’ottica lungimirante che si rivela strategico, oggi più che mai, il ruolo dell’Europa come costruttore di pace, occupazione e giustizia sociale, nonostante sia stato in passato segnato da numerosi disastri, problemi ambientali, problemi sociali e conflitti ancora incorso nel mondo.
Dobbiamo purtroppo constatare che il ripristino della dignità e del valore del lavoro, del suo status e della sua protezione sono valori che non sono stati ancora raggiunti, in luogo di disuguaglianze dilaganti, povertà diffusa e mancanza di crescita che sono sotto gli occhi di tutti.
E’ per questi motivi che si leverà anche oggi, in migliaia di piazze italiane, il grido di orgoglio del mondo del lavoro che chiede ancora una volta dignità e tutela. Grido che speriamo, non rimanga, ancora una volta, inascoltato.